La signora con gli occhiali neri
Come ogni notte, era arrivato il momento. Una mano diafana scostò il leggero lenzuolo viola, la donnina si alzò a scatti dal letto cigolante. In un angolo della camera, il volpino marrone aprì un occhio, temendo i soliti rimproveri e le solite minacce, ma stavolta fu risparmiato; chiuse l’occhio e si rimise a dormire, tremando.
Buio pesto; nel palazzo, il silenzio era carico di attesa. Qualcuno al piano di sotto e negli appartamenti accanto sperava. La minuta signora controllò l’orologio sul comodino : ore tre. Perfetto! Pensava. Raggiunse a passi decisi, in pantofole rosa e vestaglia corta color ghiaccio, l’ingresso e impugnò, con una forza insospettabile, l’enorme oggetto di legno. Ora esisteva e poteva fargliela vedere lei a chi la credeva invisibile. Sollevò quella specie di mazza e, curvando le ginocchia e allargando i gomiti, colpì il mondo intero, l’universo. Comunicava a tutti la sua realtà. L’urto violento col pavimento, della grande massa, produsse un boato potente. Il silenzio, interrotto, amplificò l’esplosione, che la minuta signora ripeté, a intervalli precisi. L’onda sonora, che avvisava tutti della sua onnipotenza, attraversò travature e pareti portanti, diffondendosi opportunamente sia verso i piani sottostanti sia verso quelli superiori e su fino all’attico e giù fino alle nere cantine. Soddisfatta del suo operato, si rimise a letto supina a occhi aperti. Osservava le ombre del soffitto verde chiaro e pensava che i suoi occhi piccoli e cattivi non doveva mai vederli nessuno; per questo aveva sempre degli occhiali di specchio nero. Il rito fu ripetuto alle cinque del mattino e alle sette, ora in cui alcuni vicini le inviarono maledizioni e bestemmie varie, alle quali rispondeva a tono dal chiuso del suo rifugio.
Nessuno la vedeva uscire di casa, sceglieva accuratamente orari sperduti. Nessun rimprovero sembrava sortire effetto alcuno, nessun comportamento, educato o indifferente. Si appostava nell’angolo del pianerottolo con la faccia al muro pensando di non essere vista. Per strada camminava rasente i muri perimetrali dei palazzi e nel supermercato la si poteva vedere ferma a lungo incollata a un pilastro o alle pile di acque minerali. Quando sentiva qualcuno passare per il suo pianerottolo o i vicini chiamare ed attendere l’ascensore, da dietro la porta chiusa emetteva strani ululati o mostrava di parlare con qualcuno.
“ Basta!” gridava continuamente “ Basta , o ti ammazzo!”. Con lei viveva solo il volpino sventurato, bersaglio di umiliazioni continue e urla. Aveva anche perfezionato una specie di dialogo al telefono; non aveva né amici né parenti, vicini. “Mi devi dare i soldi!” a voce alta per farsi sentire da dietro la porta blindata “I soldi ! Hai capito?” e ripeteva e ripeteva. La ‘i’ di capito diventava sempre più forte e strascicata, mentre la voce teneva una specie di esitazione sul ‘ca’, e il ‘to’ tendeva a un ‘tu’, la ‘o’ si chiudeva definitivamente. Per circa un intero anno un mezzo foglio di quaderno attaccato all’esterno della sua porta avvisava :“A nessuno deve essere data la mia posta Nessuno deve entrare nel mio monolocale senza il mio permesso specialmente i miei parenti”. In un italiano approssimativo che non si curava né di interpunzione né di maiuscole o minuscole. Era l’unico modo per comunicare con gli altri. Senza pause, senza attendere risposte, senza respirare. Aveva anche scritto, in un primo periodo, i cognomi di due odiati condomini. Dopo le rimostranze fatte da uno di loro, prima cancellò i nomi, poi sostituì il cartello con la precisazione riguardante solo i suoi parenti. Aveva ereditato l’abitazione da un convivente a cui aveva promesso di badare fino a tarda età. Quando giunse la prima malattia lo depositò in un lager per anziani, dove in breve morì. I parenti del vecchio provarono a toglierle la proprietà; lei aveva una carta firmata e dovettero piantarsela. Il volpino abbaiava, abbaiava stizzoso. Dopo anni di rumorose guerre diuturne e notturne, improvvisamente tutto cessò. Non la si vedeva neanche più scivolare, ombra di se stessa, nei pianerottoli e nel cortile. Dall’estrema magrezza sembrava essere passata proprio all’invisibilità. I carabinieri la trovarono, riversa nel suo ingresso, nera e maleodorante, una vena della tempia aperta. L’impermeabile color crema, stretto dalla cintura, le scarpine nere e il carrello della spesa in piedi, accanto. Gli occhiali neri, opachi. Era implosa. Questa è la storia di una strana creatura, che era venuta nella grande città dalla sua terra lontana.
Forse con altre idee; forse con altri sogni; forse con altre intenzioni.
G.D.
Etichette: Racconti