Metamorfosi

PENSIERI, RACCONTI, CRONACHE E POESIE

sabato 7 novembre 2009

Trenitalia


28 ottobre 2009 
Andata- viaggio Roma / Palermo
Stazione Termini ore 7.00

Il treno per Palermo è gia nel suo binario, il numero 5. Faticosamente, per via dei nostri anni e delle nostre patologie, io l’ipertensione e mia moglie un’ artrosi mescolata con l’artrite, ci arrampichiamo per gli altissimi scalini sul vagone 005. Nel ‘Peloritano’ abbiamo prenotato due posti vicino ai finestrini per godere del panorama, in una prima classe, nella speranza di una comodità per questo viaggio desiderato da anni. Io ho voluto riavvicinarmi alla città della mia giovinezza e dei miei studi, con i tempi lunghi per una possibilità di pensare e di riflettere. Non vedo parenti e amici da 21 anni, mia moglie da 8. Le poltrone sono ampie e comode ma il grigio della tappezzeria è diventato nerume in corrispondenza della testa e dei braccioli. Sotto la mano destra lunghi sfilacci di stoffa, pendono tristemente. I vetri doppi della finestra sigillata contengono delle veneziane che scorrono in su e giù azionando dei pulsanti scrostati.

Ai lati di un tavolino centrale striato di lerciume occhieggiano i fori di una presa di corrente.

Si parte in orario, una signora in un posto di fronte tenta di collegare il suo portatile, ma lo schermo non s’illumina, tenta con altre prese: niente da fare, non ne funziona nessuna, dovrà scaricare la batteria e il viaggio durerà 12 ore circa. La periferia e la campagna laziale sfilano veloci ai nostri lati, le immagini sono velate dalla sporcizia fitta dei vetri esterni, la tristezza comincia la sua scalata. Avremmo voluto portare le carte per il nostro burraco, ma nella fretta le abbiamo dimenticate. Chiusi nel vagone piombato la tristezza si trasforma in noia. Passa un controllore e fora i biglietti. Treno amico ci ha fatto risparmiare qualcosa, per questo ci siamo permessi sia per l’andata che per il ritorno, fra una settimana, la prima classe. Palermo ci attende, ma il pentimento comincia a serpeggiare nei nostri pensieri. La giornata è piena di sole, le coste marine della nostra bella penisola continuano ad essere guardate attraverso lo sporco fitto dei vetri e il fascino di un’antica cartolina corrosa, si esaurisce ben presto.

Mia moglie tenta di abbassare le veneziane perché ha anche un problema alla vista e la forte luce dall’esterno, preferirebbe che fosse smorzata. Non si muovono; al sistema non arriva più l’energia necessaria.

Treno Amico mostra la sua vera faccia, ipocrita. Si respira a malapena, anche se il vagone è quasi vuoto, molti sono scesi a Napoli. Durante la sosta una professionista bassa e grassoccia ha tentato l’elemosina comunicando vedovanza e figliolanza numerosa e un giovane volpino ha tentato veloce l’offerta di bracciali d’oro genuino. I due sono stati rapidi a sparire. Nonostante tutto, il mare verde e blu e la costa ora sabbiosa ora rocciosa flagellata da cavalloni spumeggianti , ci ha inviato suoni e profumi dimenticati. La natura è indifferente alla nostra sorte. La temperatura sale e il respiro si fa sempre più faticoso. Lo comunichiamo al nuovo controllore, un giovane con un cerotto sulla fronte. Ora sta controllando il pannello di fronte alla porta del gabinetto, torna e ci comunica che l’impianto d’aerazione non funziona e che tenterà di aggiustarlo quanto prima. Solo adesso ci rendiamo conto che era già da un po’ di tempo che l’aria si era surriscaldata. Passa il carrello del bar, ma noi abbiamo la nostra acqua e un thermos di caffé. Sentiamo sempre più caldo, ci togliamo maglioni e giacche, anche gli altri danno segni d’insofferenza. Il controllore è sparito e mia moglie ha il viso che diventa sempre più rosso, sudiamo e ci sventoliamo con la settimana enigmistica. Ripassa il carrello del bar e il ragazzo sgarbatamente c’invita al consumo delle sue cianfrusaglie liquide. Al passaggio nelle gallerie le luci restano spente; il buio tunnel puzza di morte. Nelle 2 ore successive il carrello ripassa per altre 4 volte avanti e indietro e sempre più infuriato, siamo in pochi e nessuno gli compra neanche 1 caffé. Sopportiamo in silenzio anche le spiegazioni inutili di un ennesimo controllore, … quanti controllori sono passati… o abbiamo le allucinazioni…non si può neanche andare in bagno: puzza ed è sporco in modo notevole. Mi alzo per controllare gli altri vagoni. In seconda e in quello per Siracusa tutto a posto: respirano aria fresca, le veneziane funzionano e  sembra pulito e miracoloso, in modo speciale in quello per Siracusa, aiutati dalla Madonna, sicuramente dalle sue lacrime. Un controllore, anziano, passa e ci guarda senza compassione, sparisce veloce. Divoriamo nervosi i nostri tramezzini, cotto e sottilette, ci dissetiamo con la nostra acqua minerale naturale. Il tempo scorre lentamente nel silenzio, la signora del portatile ha tentato di fare presente il problema, ma è zittita dal controllore, uno dei tanti, a cui si è rivolta. Stiamo per arrivare a Villa San Giovanni, quando si avvicina  un controllore alto e magro, il volto sorridente. Si siede sul bracciolo accanto a noi e, vedendomi ansimare preoccupato per mia moglie dal volto paonazzo, inizia a parlare con voce dolce e suadente. Io mi alzo e sto per vomitare. Mi allontano. All’incazzatura sostituisco la prudenza e mi preparo ad accettare insieme agli altri quattro passeggeri la proposta di spostarci in seconda dove almeno si respira. Ci accolgono guardando il nostro ingresso, accompagnati da 2 controllori, come se fossimo dei delinquenti beccati in flagrante poi continuano le loro chiacchiere. Un simpatico anziano parla e parla continuamente, a voce alta, una bimba cicciotella e bellissima corre avanti e indietro sorridendo, gli occhi neri brillanti. Traghettiamo, con sussulti e al buio, nel ventre d’acciaio fumoso d’umidità, sotto travi d’acciaio imbullonato e ricoperto da infinite verniciature. Vado sul ponte e non mi commuovo alla vista della costa siciliana, compro due arancine e le porto nel treno. Mastichiamo al buio fitto e il sapore colloso del riso scotto sepolto da una crosta dura rischia di intasare la gola. Il ripieno è una pappa insipida. La fanno di simmental bavarese; lo conferma la nostra compagna di disavventure, che dalla Svizzera torna a Sant’ Agata di Militello per un periodo di riposo.

Adesso il treno fila, correndo accanto ad un mare di smeraldo, l’aria profuma d’alghe, sembra che l’arrivo sia puntuale. Chiacchieriamo sereni con i nostri compagni con i quali abbiamo creato un gruppo amichevole. Ci raccontiamo gioie e dolori, con la sincerità estrema che distingue i rapporti fuggevoli, i figli, le morti, le malattie, le povertà e le ricchezze. L’uomo peloso, dal viso come il Cristo Pantocratore del Duomo di Monreale, ha due figli di sette e tre anni, è stato operato di ischemia cerebrale e torna da una visita di controllo, i suoi occhi, sotto le sopracciglia folte, sono di quel verde cupo caratteristico di noi meridionali. La signora che viene dalla svizzera ha perso il figlio che aveva 17 anni e poi il marito e ha tenuto per anni una pizzeria. Il giovane seduto dietro porta una cartella di documenti gonfia e misteriosa. Passano altri 2 controllori e alla vista dei nostri biglietti di prima classe obiettano che non dovremmo stare in seconda. Hanno l’aria di considerarci colpevoli di un crimine, l’atmosfera rilassata si disperde, ma non abbiamo la forza di dire nulla. Uno dei 2 afferma infastidito che non gli hanno comunicato nulla, e che nel vagone di prima classe tutto funziona alla perfezione; sono circa le 18 e arriveremo tra un’ora. Sorridiamo inebetiti: allo scorno si è aggiunta la beffa. Rimaniamo dove siamo nell’attesa dell’arrivo oramai prossimo. Speriamo di non essere ancora sottoposti ad angherie varie, ma non è finita. Quasi all’arrivo, un capotreno calvo col riporto di quattro peli,  tinti di biondo, dopo lungo interrogatorio ci spiega come fare per avere il rimborso della differenza di costo del biglietto. Dovremmo trascorrere alla stazione di Palermo ancora un’ora per riempire moduli, fornire indirizzi privati e codice fiscale, per avere non un rimborso ma un tagliando per una prossima disavventura. Il treno arriva puntuale , il fratello di mia moglie ha la macchina in doppia fila e dobbiamo fare in fretta per tuffarci nella nostra bella e tanto desiderata Palermo.

3 novembre 2009
Ritorno-  viaggio Palermo / Roma
Stazione di Palermo ore 7.00

Dal giornalaio abbiamo comprato due mazzi di carte; al ritorno non ci faremo prendere alla sprovvista, faremo partite di burraco per anestetizzarci delle 12 ore di viaggio. Saliamo sul vagone: pulito, funziona tutto. Ci sediamo nelle nostre poltrone accanto al finestrino e attendiamo la partenza. Ecco siamo in movimento e …..tentiamo di aprire il vano sotto il finestrino sporco per estrarre il tavolino estensibile….

Niente da fare: è saldato come tutti gli altri!

Evviva ‘Treno Amico’evviva ‘Trenitalia’.



Giuseppe Davì

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sabato 24 ottobre 2009

Come ho conosciuto Ninni Cassarà



Ogni pomeriggio, da una certa ora in poi, accompagnati dalle mamme, riempivano la stanza da pranzo buona col tavolo lungo stile impero e tante sedie, una frotta di ragazzine e ragazzini, pronti per le ripetizioni. Le mamme andavano via per le loro faccende: compere, passeggiate, un cinema, il parrucchiere. Sembra che qualcuna ne approfittasse per incontri non proprio ortodossi. Erano alunni di mia madre, maestra di scuola elementare, che continuava a casa le lezioni del mattino. Seguiva tutti con pazienza e dedizione totale, fino a sera tardi, quasi ora di cena. Io, in disparte, abbandonato nella mia stanza, mi annoiavo e per dispetto invece di ripassare la poesia o i fiumi e le città sulla cartina geografica, mi nutrivo di giornaletti di Topolino. Rubacchiavo in cucina pane e formaggio, aprivo una scatoletta di caponata Pensabene.
Crack! Crack! Crack! Crack!
La lama appuntita dell’apriscatole spaccava la latta lasciando frastagli affilati per ammonire le mie dita impertinenti. Odiavo tutta quella marmaglia che teneva lontana da me, mia madre; quella creatura, che diventava ogni giorno assolutamente irraggiungibile. Curavo con attenzione la mia ignoranza e perfezionavo il mio disamore per lo studio. Fu a quei tempi che imparai a coccolare la mia obesità ingozzandomi d’una orribile mescolanza preparata strizzando pomodori e pane secco bagnato con l’acqua e fette di cipolla e olio a fiumi. Sedavo una fame per l’impossibilità di saziare una sete d’amore.
Mi era vietato entrare nella stanza delle lezioni ma dovevo andare ad aprire la porta  ad ogni scampanellata.  Mia madre, concluso il suo rapido sonnellino pomeridiano, spuntava sorridente ed iniziava il suo lavoro. Io ero cacciata via con fermezza. Non c’era più neanche il gatto consolatorio che tenevamo nella vecchia casa vicino al porto. Ora in questa, moderna, ai margini della città, un gatto avrebbe rovinato le poltrone nuove e non era il caso.
Spiavo dal terrazzo della cucina quei visi ora imbronciati ora sorridenti, ora concentrati ora rivolti al lampadario dorato coi brindoli di cristallo sfaccettato, luccicanti. Capelli castani, capelli neri, nasi a patatina e nasi lunghi, sguardi sempre limpidi e occhi come gemme. Nel brusio, solo uno stava, sempre silenzioso e concentrato, a risolvere i suoi compiti; pantaloncini corti, magro, la pelle chiara e i capelli dorati a onde.
Occhi grandi e azzurri e ciglia lunghe e scure. Le bambine, con la biro in mano, chine sui quaderni e sui libri, lo guardavano adoranti, lui sembrava non accorgersene e le controllava con una cauta indifferenza.
La sera aprivo la porta di casa alle signore eleganti, che prima di portare via i loro preziosi marmocchi, ciarlavano tra loro e con mia madre stanca ma sorridente, fino a che anche l’ultima se ne era andata via, anche quella alta e coi riccioli biondi bloccati da forcine minuscole e multicolori, la madre di Ninni. Adesso dovevo apparecchiare, cucinare una cena veloce e silenziosa, per mio padre e mia madre, sparecchiare e andare a letto. I piatti e le pentole si ammucchiavano per la cameriera che l’indomani sarebbe venuta a fare la cucina; questo era quello che si doveva dire. In realtà strofinavo forchette e coltelli con un tappo di sughero e il vim in polvere, e pulivo tutto io stesso, nella cucina sempre in disordine e maleodorante.
Inverno dopo inverno , anno dopo anno.
Adesso frequentavo il liceo classico, accumulando bocciature e riparazioni a settembre, come era accaduto anche durante tutta la scuola media. Abbiamo fatto arricchire non so quanti professori e professoresse di latino e di greco, che non facevano altro che correggere gli errori di una versione una lezione dopo l’altra, senza mai spiegare nulla su come realmente imparare.
 Poco mi lavavo e poco mi pettinavo, i miei vestiti erano ricavati da quelli di mio padre allargati e scoloriti dall’uso. Le mie scarpe, un paio all’anno, erano sempre di cuoio nero coi lacci sfilacciati. I libri di scuola usati e sbrindellati.
Laura un giorno mi presentò il suo ragazzo, biondo con gli occhi azzurri, bellissimo. Era il ragazzino che anni prima era venuto a lezione privata con gli altri a casa nostra, non mi riconobbe neppure, salutò e si portò via la mia amica dagli occhi neri e i capelli neri, la minuscola voglia come un neo, sul collo esile e candido. Alti e mano nella mano, si allontanarono velocemente.
Si sposarono ed ebbero una bimba; io, dopo la laurea , emigrai in una città del nord, per insegnare in un liceo scientifico. Solo.
Spararono a quel bambino biondo e alla sua scorta in macchina sotto casa, aveva sgarrato qualcosa con la gentile mafia di quei tempi: il commissario Cassarà era da eliminare. Sentii la notizia alla radio una sera dal cielo stellato in un campeggio vicino Barcellona. Sono passati ancora tanti anni e io sento ancora Laura urlare e i figli piangere. Ancora un altro nodo di una corda bloccata ci stringe la gola: una garrota senza fine e senza tempo. 

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domenica 18 ottobre 2009

Zhenlong va in montagna




La domenica era il suo giorno libero, l’unico; settimana dopo settimana dell’interminabile anno di lavoro. Anno dopo anno. Quel mattino d’autunno decise di andare a fare una passeggiata in montagna. Il sole splendeva nel cielo turchino e illuminava la sua stanza dalla finestra spalancata. L’aria fredda entrava e ripuliva il letto disfatto, il tavolino e l’armadio di legno dipinto di blu. In cucina la signora Zhenlong sfaccendava per la colazione: frittelle di riso dolce e tè verde con miele di mandorlo. Silenziosamente friggeva le cucchiaiate di pastella e teneva sott’occhio il bollitore. Yiling giocava con dei cubi di legno gialli e rossi, seduta sul tappeto di lana a draghi ocra, di lato alla stufa di terracotta. Aveva festeggiato tre giorni prima il suo secondo compleanno e componeva forme sicure strofinando a tratti la manica del camiciotto sul naso arrossato. Dopo un bacio alla moglie e alla figlioletta il signor Zhenlong varcò la soglia di casa e dopo avere sceso le tre rampe di scale si trovò sulla strada affollata di gente. Niente colazione, l’autobus sarebbe partito fra poco dalla piazza vicina. Riuscì a salire appena in tempo, l’autista partì con un grande scossone e lui cadde tra le braccia d’una signora piuttosto in carne e subito furibonda.



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sabato 17 ottobre 2009

Uno nessuno centomila… un milione…



Chi viaggiasse per il caotico mare del web alla ricerca di risposte esistenziali potrebbe approdare con la sua barca a remi nella rada di Wikipedia; ponendo l’accento sulla ‘e’ o magari sulla ultima ‘i’. E, cercando se stesso, troverebbe poniamo il caso:

Uno, nessuno e centomila: uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello.

Iniziato già nel 1909, uscì solo nel 1926, prima sotto forma di romanzo a puntate edito in una rivista, la Fiera letteraria, e poi di volume. Quest'opera, l'ultima di Pirandello, riesce a sintetizzare il pensiero dell'autore nel modo più completo. L'autore stesso, in una lettera autobiografica, definisce quest'opera come il romanzo "più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita". Il protagonista Vitangelo Moscarda, infatti, può essere considerato come uno dei personaggi più complessi del mondo pirandelliano, e sicuramente il più pieno di autoconsapevolezza di questo mondo. Dal punto di vista formale, stilistico, si può vedere la forte inclinazione al monologo dell'uomo, che molto spesso si rivolge al lettore, ponendogli interrogativi e problemi in modo da coinvolgerlo direttamente nella vicenda, che è senza dubbio di portata universale. La lunga gestazione dell'opera potrebbe far pensare che essa sia frammentaria e disorganizzata. Al contrario, essa può essere considerata come l'apice della carriera dell'autore e della sua tensione narrativa.

Provate adesso a cercare, che ne so, ad esempio su  Internet Explorer, il vostro nome e cognome. Forza coi remi!... Il vostro ‘ io ’ sparirà inghiottito da una marea di omonimi. Sarà come naufragare e annegare e subito ritornare a galla senza fiato, inghiottire una boccata d’aria, e nuovamente immergersi in un oceano meraviglioso. Atroce!
Finché sentirete rispuntare le vostre branchie rosse capaci di farvi rimanere nel fondo del mare. Sarà l’ancestrale esperienza del nuotare tra migliaia di esseri simili, a darvi tranquillità. Riprenderete a virare, tutti insieme, veloci a destra e a sinistra, su e giù, percorrendo liquide strade di fuga dai pescecani o inseguendo piccole prede indifese.
Tra ragionieri e artigiani, tra gelatai e viticultori, tra professori e ingegneri, tra giovani e vecchi potreste sentirvi nuovamente esistenti in un profondo luogo, colmo di dimensioni e di tempi multipli, di immagini e suoni ovattati e di urla e strepiti. Altro che l’inferno, il purgatorio o il paradiso dantesco, qui ed ora   ( sick and dich ) la realtà virtuale prenderà il sopravvento su quella analogica, il pleroma mescolato con la creatura, tornerà in equilibrio con le strutture simmetriche e quelle asimmetriche. La sensazione dei numeri tornerà ad essere quella delle moltitudini e l’etica tornerà ad essere quella dell’essere divorati o di divorare per esistere e l’estetica sarà ridimensionata all’essere: folle più grandi o folle più piccole. A connetterci sarà solamente l’immenso universo della rete, che ci avrà catturato, ma noi non ce ne accorgeremo e non ce ne importerà più nulla.
                  G.D.

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martedì 13 ottobre 2009

Il signor Zhenlong

Minuto e sorridente, dopo una colazione a base di riso e soia, il signor Zhenlong passeggiava tra la folla. Era la sua mattina di riposo. La fabbrica di sigarette, col suo odore penetrante, era stampata sulla camicia bianca a grandi dalie arancione. Adesso ci voleva una buona sfumacchiata. Si diresse ai giardini al centro della piazza e si sedette a una panchina accanto a una coppia di innamorati, che non si accorsero della sua presenza. Sarebbe stata l'ultima sigaretta: i suoi polmoni chiedevano assolutamente tregua. Estrasse, dalla tasca posteriore dei pantaloni larghi e scuri, il pacchetto coi draghi ocra e sfilò il cilindretto bianco col filtro blu. Alla prima tirata sentì un irrigidirsi del braccio. Alla seconda si appiattì lentamente. Sul viso apparvero linee iridescenti. Continuava una boccata dopo l'altra, rapidamente, osservando la mano perdere tridimensionalità. Si guardò intorno: bimbi gioiosi correvano inseguendosi nel loro gioco misterioso. Gli alberi di mandorlo erano in fiore e nel laghetto azzurro trasparivano tre pesci fluttuanti, uno più minuscolo dell'altro. Solo il cielo gli sembrava sempre più grigio, senza una nuvola, ma sempre più cupo. Finì la sua sigaretta e si alzò: piatto come un cartoncino. Camminava buffamente ruotando le corte zampe ora di qua ora di là. Il cielo si era rischiarato e ora poteva ammirare felice la sua nuova livrea di carta blu a ghirigori. Non sarebbe stata l'ultima sigaretta, fortunatamente!
                                                                                              G.D.

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venerdì 9 ottobre 2009

Che storia mi racconti...?



Quando leggo le sue storie è lo stesso che sentirla. La sua scrittura ci accompagna in stanze segrete col garbo di una dolce maestra: è paziente e rigorosa insieme. Lascia che prenda la tua mano nella sua, la morbidezza si trasformerà nella più forte delle catene.Difficilissimo non percorrere fino in fondo i suoi racconti, le sue storie e le sue ricerche, letterarie e non. Paola Musarra riesce sempre a ammaliarmi coi suoi inserti preziosi su Medea, come il più recente "Leggere con Proust".

-Foto e ritocco di G.D.-


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lunedì 5 ottobre 2009

Ieri, oggi e forse... domani



Ricordi velletrani coi vicini di pianerottolo. Rimembranze panormite con gli amici di passaggio Giancarlo e Nora. Notizie di vita e notizie di morte che sta per arrivare. Lulù ferocemente langue e s'agita. Sogna la figlia bellissima immobile da anni e trema per il figlio perduto. Domani pomeriggio o dopodomani la lettura di "Dove gli angeli esitano " e forse di sera a teatro.

-Monte Cuccio- foto di I.S.




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domenica 4 ottobre 2009

Una poesia

Una...
Vuole una pagina bianca come il nulla
Ti chiama con suoni bisbiglianti
Da punti diversi d’una immensa sfera iridescente
Tu esisti e nasci ogni volta che ti chiama dal suo deserto caldo
Relazione divina medianica con terre rare
ed oggetti non ancora creati
Un odore sottile come un gas leggero
Non rispondere ogni volta ti fa soffrire
come una mano desiderata e mai potuta sfiorare
nei polmoni brucia un ossido nerastro
sangue che era rosso e anche tu vuoi emergere e sbocciare
gemma verde di foglie spesse lisce
come gote adolescenti
spinge e pressa ora lieve ora violenta
pulsa e ancora spinge
dalla mente utero sposta pareti nemiche sofferenti
non sa nulla della sua forma e del suo significato
gli altri semplicemente assistono sorridono
non l’ assaggeranno mai serve solo a se stessa e a te
eccola... innocente insignificante
vestita delle parole che ne ricoprono
la strana sghemba superficie
a mosaico senza riferimenti
se non il linguaggio del contesto
bella da piangere e sparire
onda di pensiero nel mare dei pensieri di tutti


una poesia                                                                                      




-Due candele d'angolo -foto di G.D.-










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Laboratorio teatrale


Ieri pomeriggio al Teatro Belli un laboratorio teatrale impostato sull'unione perfetta di Pleroma e Creatura.
Presenti molti giovani attori e attrici, in fieri.  Irradiazioni molteplici, connessioni e legami. Colui che dirige, accende e cura il fuoco, con parole e gesti  perfetti. L'energia cinetica delle persone/molecole aumenta e diminuisce. Il pleroma guida la creatura e viceversa.La sacra unità fluisce, imperversa e nutre.

Nell'ottobrata romana calda e morbida, Trastevere nitida accoglie fiumi di gente coi tavolini sparsi di piccole luci rosse come una fiaccolata.Fronde di alberi scuri dipingono un cielo serale bluverde, fondale a brusii e risate e chiacchiericci. Profumo di pizza e di gelati, di supplì e di corpi tiepidi.Alla fermata dell'autobus due si salutano abbracciandosi stretti. Sorridono.

-Foto e ritocco- di G.D.

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martedì 29 settembre 2009

La signora con gli occhiali neri


Come ogni notte, era arrivato il momento. Una mano diafana scostò il leggero lenzuolo viola, la donnina si alzò a scatti dal letto cigolante. In un angolo della camera, il volpino marrone aprì un occhio, temendo i soliti rimproveri e le solite minacce, ma stavolta fu risparmiato; chiuse l’occhio e si rimise a dormire, tremando.
Buio pesto; nel palazzo, il silenzio era carico di attesa. Qualcuno al piano di sotto e negli appartamenti accanto sperava. La minuta signora controllò l’orologio sul comodino : ore tre. Perfetto! Pensava. Raggiunse a passi decisi, in pantofole rosa e vestaglia corta color ghiaccio, l’ingresso e impugnò, con una forza insospettabile, l’enorme oggetto di legno. Ora esisteva e poteva fargliela vedere lei a chi la credeva invisibile. Sollevò quella specie di mazza e, curvando le ginocchia e allargando i gomiti, colpì il mondo intero, l’universo. Comunicava a tutti la sua realtà. L’urto violento col pavimento, della grande massa, produsse un boato potente. Il silenzio, interrotto, amplificò l’esplosione, che la minuta signora ripeté, a intervalli precisi. L’onda sonora, che avvisava tutti della sua onnipotenza, attraversò travature e pareti portanti, diffondendosi opportunamente sia verso i piani sottostanti sia verso quelli superiori e su fino all’attico e giù fino alle nere cantine. Soddisfatta del suo operato, si rimise a letto supina a occhi aperti. Osservava le ombre del soffitto verde chiaro e pensava che i suoi occhi piccoli e cattivi non doveva mai vederli nessuno; per questo aveva sempre degli occhiali di specchio nero. Il rito fu ripetuto alle cinque del mattino e alle sette, ora in cui alcuni vicini le inviarono maledizioni e bestemmie varie, alle quali rispondeva a tono dal chiuso del suo rifugio.
Nessuno la vedeva uscire di casa, sceglieva accuratamente orari sperduti. Nessun rimprovero sembrava sortire effetto alcuno, nessun comportamento, educato o indifferente. Si appostava nell’angolo del pianerottolo con la faccia al muro pensando di non essere vista. Per strada camminava rasente i muri perimetrali dei palazzi e nel supermercato la si poteva vedere ferma a lungo incollata a un pilastro o alle pile di acque minerali. Quando sentiva qualcuno passare per il suo pianerottolo o i vicini chiamare ed attendere l’ascensore, da dietro la porta chiusa emetteva strani ululati o mostrava di parlare con qualcuno.
“ Basta!” gridava continuamente “ Basta , o ti ammazzo!”. Con lei viveva solo il volpino sventurato, bersaglio di umiliazioni continue e urla. Aveva anche perfezionato una specie di dialogo al telefono; non aveva né amici né parenti, vicini. “Mi devi dare i soldi!” a voce alta per farsi sentire da dietro la porta blindata “I soldi ! Hai capito?” e ripeteva e ripeteva. La ‘i’ di capito diventava sempre più forte e strascicata, mentre la voce teneva una specie di esitazione sul ‘ca’, e il ‘to’ tendeva a un ‘tu’, la ‘o’ si chiudeva definitivamente. Per circa un intero anno un mezzo foglio di quaderno attaccato all’esterno della sua porta avvisava :“A nessuno deve essere data la mia posta Nessuno deve entrare nel mio monolocale senza il mio permesso specialmente i miei parenti”. In un italiano approssimativo che non si curava né di interpunzione né di maiuscole o minuscole. Era l’unico modo per comunicare con gli altri. Senza pause, senza attendere risposte, senza respirare. Aveva anche scritto, in un primo periodo, i cognomi di due odiati condomini. Dopo le rimostranze fatte da uno di loro, prima cancellò i nomi, poi sostituì il cartello con la precisazione riguardante solo i suoi parenti. Aveva ereditato l’abitazione da un convivente a cui aveva promesso di badare fino a tarda età. Quando giunse la prima malattia lo depositò in un lager per anziani, dove in breve morì. I parenti del vecchio provarono a toglierle la proprietà; lei aveva una carta firmata e dovettero piantarsela.  Il volpino abbaiava, abbaiava stizzoso. Dopo anni di rumorose guerre diuturne e notturne, improvvisamente tutto cessò. Non la si vedeva neanche più scivolare, ombra di se stessa, nei pianerottoli e nel cortile. Dall’estrema magrezza sembrava essere passata proprio all’invisibilità. I carabinieri la trovarono, riversa nel suo ingresso, nera e maleodorante, una vena della tempia aperta. L’impermeabile color crema, stretto dalla cintura, le scarpine nere e il carrello della spesa in piedi, accanto. Gli occhiali neri, opachi. Era implosa. Questa è la storia di una strana creatura, che era venuta nella grande città dalla sua terra lontana.
Forse con altre idee; forse con altri sogni; forse con altre intenzioni.
                                                                                                                                 G.D.




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lunedì 28 settembre 2009

Memoria dell'acqua


Mettete un pentolino di acqua sul fuoco e fatela bollire, poi riponetelo con il recipiente nel frizer assieme ad un altro recipiente di acqua fredda, ebbene scoprirete che l'acqua calda congela più in velocemente di quella fredda! Perché ? Per un fenomeno semplice: le strutture che collegano le molecole d'acqua con legami di idrogeno, subiscono una serie di cambiamenti nei passaggi di stato dei quali rimane traccia nell'acqua in virtù di fenomeni di "isteresi". In altre parole l'acqua ricorda (quindi memorizza) il percorso energetico ed entropico, che ha subito nella fase di riscaldamento, e durante il processo di congelamento, lo ripercorre in senso inverso e con maggiore velocità. "Ricorda", cioè, tutto il "percorso" effettuato precedentemente. Provare per credere !

Mondello 'Lo Stabilimento' -Foto da web-

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Le ali

Nell'orrido involucro, che pareva una cosa marcia e morta, sentiva crepitare cartilagini nella zona delle scapole. Pinne fluttuanti in un liquido azzurrognolo?  Penne di ali per un fluido leggero come l'aria? Cosa sarebbe spuntato! Chissà quale messaggio il codice genetico mutante avrebbe inviato alle cellule che andavano moltiplicandosi......Senza occhi la mente pensava: vedremo, basta attendere finchè dura il tempo dell'attesa......
-Foto ritocco da web-




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venerdì 25 settembre 2009

Che faticata!



Ho preparato le arancine con la mia ricetta, una faticata pazzesca. Meno male che mia moglie ha lavato tutto: pentole, pentolini, scodelle,piatti. Ha dovuto anche spazzare e pulire le pareti dagli schizzi di ragù.
Domani le friggerò e le mangeremo, a pranzo coi figli e a cena coi cugini.Ci saranno anche fichidindia e una bella insalatona.

- La frittura - foto di G.D.


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