Metamorfosi

PENSIERI, RACCONTI, CRONACHE E POESIE

sabato 24 ottobre 2009

Come ho conosciuto Ninni Cassarà



Ogni pomeriggio, da una certa ora in poi, accompagnati dalle mamme, riempivano la stanza da pranzo buona col tavolo lungo stile impero e tante sedie, una frotta di ragazzine e ragazzini, pronti per le ripetizioni. Le mamme andavano via per le loro faccende: compere, passeggiate, un cinema, il parrucchiere. Sembra che qualcuna ne approfittasse per incontri non proprio ortodossi. Erano alunni di mia madre, maestra di scuola elementare, che continuava a casa le lezioni del mattino. Seguiva tutti con pazienza e dedizione totale, fino a sera tardi, quasi ora di cena. Io, in disparte, abbandonato nella mia stanza, mi annoiavo e per dispetto invece di ripassare la poesia o i fiumi e le città sulla cartina geografica, mi nutrivo di giornaletti di Topolino. Rubacchiavo in cucina pane e formaggio, aprivo una scatoletta di caponata Pensabene.
Crack! Crack! Crack! Crack!
La lama appuntita dell’apriscatole spaccava la latta lasciando frastagli affilati per ammonire le mie dita impertinenti. Odiavo tutta quella marmaglia che teneva lontana da me, mia madre; quella creatura, che diventava ogni giorno assolutamente irraggiungibile. Curavo con attenzione la mia ignoranza e perfezionavo il mio disamore per lo studio. Fu a quei tempi che imparai a coccolare la mia obesità ingozzandomi d’una orribile mescolanza preparata strizzando pomodori e pane secco bagnato con l’acqua e fette di cipolla e olio a fiumi. Sedavo una fame per l’impossibilità di saziare una sete d’amore.
Mi era vietato entrare nella stanza delle lezioni ma dovevo andare ad aprire la porta  ad ogni scampanellata.  Mia madre, concluso il suo rapido sonnellino pomeridiano, spuntava sorridente ed iniziava il suo lavoro. Io ero cacciata via con fermezza. Non c’era più neanche il gatto consolatorio che tenevamo nella vecchia casa vicino al porto. Ora in questa, moderna, ai margini della città, un gatto avrebbe rovinato le poltrone nuove e non era il caso.
Spiavo dal terrazzo della cucina quei visi ora imbronciati ora sorridenti, ora concentrati ora rivolti al lampadario dorato coi brindoli di cristallo sfaccettato, luccicanti. Capelli castani, capelli neri, nasi a patatina e nasi lunghi, sguardi sempre limpidi e occhi come gemme. Nel brusio, solo uno stava, sempre silenzioso e concentrato, a risolvere i suoi compiti; pantaloncini corti, magro, la pelle chiara e i capelli dorati a onde.
Occhi grandi e azzurri e ciglia lunghe e scure. Le bambine, con la biro in mano, chine sui quaderni e sui libri, lo guardavano adoranti, lui sembrava non accorgersene e le controllava con una cauta indifferenza.
La sera aprivo la porta di casa alle signore eleganti, che prima di portare via i loro preziosi marmocchi, ciarlavano tra loro e con mia madre stanca ma sorridente, fino a che anche l’ultima se ne era andata via, anche quella alta e coi riccioli biondi bloccati da forcine minuscole e multicolori, la madre di Ninni. Adesso dovevo apparecchiare, cucinare una cena veloce e silenziosa, per mio padre e mia madre, sparecchiare e andare a letto. I piatti e le pentole si ammucchiavano per la cameriera che l’indomani sarebbe venuta a fare la cucina; questo era quello che si doveva dire. In realtà strofinavo forchette e coltelli con un tappo di sughero e il vim in polvere, e pulivo tutto io stesso, nella cucina sempre in disordine e maleodorante.
Inverno dopo inverno , anno dopo anno.
Adesso frequentavo il liceo classico, accumulando bocciature e riparazioni a settembre, come era accaduto anche durante tutta la scuola media. Abbiamo fatto arricchire non so quanti professori e professoresse di latino e di greco, che non facevano altro che correggere gli errori di una versione una lezione dopo l’altra, senza mai spiegare nulla su come realmente imparare.
 Poco mi lavavo e poco mi pettinavo, i miei vestiti erano ricavati da quelli di mio padre allargati e scoloriti dall’uso. Le mie scarpe, un paio all’anno, erano sempre di cuoio nero coi lacci sfilacciati. I libri di scuola usati e sbrindellati.
Laura un giorno mi presentò il suo ragazzo, biondo con gli occhi azzurri, bellissimo. Era il ragazzino che anni prima era venuto a lezione privata con gli altri a casa nostra, non mi riconobbe neppure, salutò e si portò via la mia amica dagli occhi neri e i capelli neri, la minuscola voglia come un neo, sul collo esile e candido. Alti e mano nella mano, si allontanarono velocemente.
Si sposarono ed ebbero una bimba; io, dopo la laurea , emigrai in una città del nord, per insegnare in un liceo scientifico. Solo.
Spararono a quel bambino biondo e alla sua scorta in macchina sotto casa, aveva sgarrato qualcosa con la gentile mafia di quei tempi: il commissario Cassarà era da eliminare. Sentii la notizia alla radio una sera dal cielo stellato in un campeggio vicino Barcellona. Sono passati ancora tanti anni e io sento ancora Laura urlare e i figli piangere. Ancora un altro nodo di una corda bloccata ci stringe la gola: una garrota senza fine e senza tempo. 

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domenica 18 ottobre 2009

Zhenlong va in montagna




La domenica era il suo giorno libero, l’unico; settimana dopo settimana dell’interminabile anno di lavoro. Anno dopo anno. Quel mattino d’autunno decise di andare a fare una passeggiata in montagna. Il sole splendeva nel cielo turchino e illuminava la sua stanza dalla finestra spalancata. L’aria fredda entrava e ripuliva il letto disfatto, il tavolino e l’armadio di legno dipinto di blu. In cucina la signora Zhenlong sfaccendava per la colazione: frittelle di riso dolce e tè verde con miele di mandorlo. Silenziosamente friggeva le cucchiaiate di pastella e teneva sott’occhio il bollitore. Yiling giocava con dei cubi di legno gialli e rossi, seduta sul tappeto di lana a draghi ocra, di lato alla stufa di terracotta. Aveva festeggiato tre giorni prima il suo secondo compleanno e componeva forme sicure strofinando a tratti la manica del camiciotto sul naso arrossato. Dopo un bacio alla moglie e alla figlioletta il signor Zhenlong varcò la soglia di casa e dopo avere sceso le tre rampe di scale si trovò sulla strada affollata di gente. Niente colazione, l’autobus sarebbe partito fra poco dalla piazza vicina. Riuscì a salire appena in tempo, l’autista partì con un grande scossone e lui cadde tra le braccia d’una signora piuttosto in carne e subito furibonda.



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sabato 17 ottobre 2009

Uno nessuno centomila… un milione…



Chi viaggiasse per il caotico mare del web alla ricerca di risposte esistenziali potrebbe approdare con la sua barca a remi nella rada di Wikipedia; ponendo l’accento sulla ‘e’ o magari sulla ultima ‘i’. E, cercando se stesso, troverebbe poniamo il caso:

Uno, nessuno e centomila: uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello.

Iniziato già nel 1909, uscì solo nel 1926, prima sotto forma di romanzo a puntate edito in una rivista, la Fiera letteraria, e poi di volume. Quest'opera, l'ultima di Pirandello, riesce a sintetizzare il pensiero dell'autore nel modo più completo. L'autore stesso, in una lettera autobiografica, definisce quest'opera come il romanzo "più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita". Il protagonista Vitangelo Moscarda, infatti, può essere considerato come uno dei personaggi più complessi del mondo pirandelliano, e sicuramente il più pieno di autoconsapevolezza di questo mondo. Dal punto di vista formale, stilistico, si può vedere la forte inclinazione al monologo dell'uomo, che molto spesso si rivolge al lettore, ponendogli interrogativi e problemi in modo da coinvolgerlo direttamente nella vicenda, che è senza dubbio di portata universale. La lunga gestazione dell'opera potrebbe far pensare che essa sia frammentaria e disorganizzata. Al contrario, essa può essere considerata come l'apice della carriera dell'autore e della sua tensione narrativa.

Provate adesso a cercare, che ne so, ad esempio su  Internet Explorer, il vostro nome e cognome. Forza coi remi!... Il vostro ‘ io ’ sparirà inghiottito da una marea di omonimi. Sarà come naufragare e annegare e subito ritornare a galla senza fiato, inghiottire una boccata d’aria, e nuovamente immergersi in un oceano meraviglioso. Atroce!
Finché sentirete rispuntare le vostre branchie rosse capaci di farvi rimanere nel fondo del mare. Sarà l’ancestrale esperienza del nuotare tra migliaia di esseri simili, a darvi tranquillità. Riprenderete a virare, tutti insieme, veloci a destra e a sinistra, su e giù, percorrendo liquide strade di fuga dai pescecani o inseguendo piccole prede indifese.
Tra ragionieri e artigiani, tra gelatai e viticultori, tra professori e ingegneri, tra giovani e vecchi potreste sentirvi nuovamente esistenti in un profondo luogo, colmo di dimensioni e di tempi multipli, di immagini e suoni ovattati e di urla e strepiti. Altro che l’inferno, il purgatorio o il paradiso dantesco, qui ed ora   ( sick and dich ) la realtà virtuale prenderà il sopravvento su quella analogica, il pleroma mescolato con la creatura, tornerà in equilibrio con le strutture simmetriche e quelle asimmetriche. La sensazione dei numeri tornerà ad essere quella delle moltitudini e l’etica tornerà ad essere quella dell’essere divorati o di divorare per esistere e l’estetica sarà ridimensionata all’essere: folle più grandi o folle più piccole. A connetterci sarà solamente l’immenso universo della rete, che ci avrà catturato, ma noi non ce ne accorgeremo e non ce ne importerà più nulla.
                  G.D.

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martedì 13 ottobre 2009

Il signor Zhenlong

Minuto e sorridente, dopo una colazione a base di riso e soia, il signor Zhenlong passeggiava tra la folla. Era la sua mattina di riposo. La fabbrica di sigarette, col suo odore penetrante, era stampata sulla camicia bianca a grandi dalie arancione. Adesso ci voleva una buona sfumacchiata. Si diresse ai giardini al centro della piazza e si sedette a una panchina accanto a una coppia di innamorati, che non si accorsero della sua presenza. Sarebbe stata l'ultima sigaretta: i suoi polmoni chiedevano assolutamente tregua. Estrasse, dalla tasca posteriore dei pantaloni larghi e scuri, il pacchetto coi draghi ocra e sfilò il cilindretto bianco col filtro blu. Alla prima tirata sentì un irrigidirsi del braccio. Alla seconda si appiattì lentamente. Sul viso apparvero linee iridescenti. Continuava una boccata dopo l'altra, rapidamente, osservando la mano perdere tridimensionalità. Si guardò intorno: bimbi gioiosi correvano inseguendosi nel loro gioco misterioso. Gli alberi di mandorlo erano in fiore e nel laghetto azzurro trasparivano tre pesci fluttuanti, uno più minuscolo dell'altro. Solo il cielo gli sembrava sempre più grigio, senza una nuvola, ma sempre più cupo. Finì la sua sigaretta e si alzò: piatto come un cartoncino. Camminava buffamente ruotando le corte zampe ora di qua ora di là. Il cielo si era rischiarato e ora poteva ammirare felice la sua nuova livrea di carta blu a ghirigori. Non sarebbe stata l'ultima sigaretta, fortunatamente!
                                                                                              G.D.

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venerdì 9 ottobre 2009

Che storia mi racconti...?



Quando leggo le sue storie è lo stesso che sentirla. La sua scrittura ci accompagna in stanze segrete col garbo di una dolce maestra: è paziente e rigorosa insieme. Lascia che prenda la tua mano nella sua, la morbidezza si trasformerà nella più forte delle catene.Difficilissimo non percorrere fino in fondo i suoi racconti, le sue storie e le sue ricerche, letterarie e non. Paola Musarra riesce sempre a ammaliarmi coi suoi inserti preziosi su Medea, come il più recente "Leggere con Proust".

-Foto e ritocco di G.D.-


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lunedì 5 ottobre 2009

Ieri, oggi e forse... domani



Ricordi velletrani coi vicini di pianerottolo. Rimembranze panormite con gli amici di passaggio Giancarlo e Nora. Notizie di vita e notizie di morte che sta per arrivare. Lulù ferocemente langue e s'agita. Sogna la figlia bellissima immobile da anni e trema per il figlio perduto. Domani pomeriggio o dopodomani la lettura di "Dove gli angeli esitano " e forse di sera a teatro.

-Monte Cuccio- foto di I.S.




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domenica 4 ottobre 2009

Una poesia

Una...
Vuole una pagina bianca come il nulla
Ti chiama con suoni bisbiglianti
Da punti diversi d’una immensa sfera iridescente
Tu esisti e nasci ogni volta che ti chiama dal suo deserto caldo
Relazione divina medianica con terre rare
ed oggetti non ancora creati
Un odore sottile come un gas leggero
Non rispondere ogni volta ti fa soffrire
come una mano desiderata e mai potuta sfiorare
nei polmoni brucia un ossido nerastro
sangue che era rosso e anche tu vuoi emergere e sbocciare
gemma verde di foglie spesse lisce
come gote adolescenti
spinge e pressa ora lieve ora violenta
pulsa e ancora spinge
dalla mente utero sposta pareti nemiche sofferenti
non sa nulla della sua forma e del suo significato
gli altri semplicemente assistono sorridono
non l’ assaggeranno mai serve solo a se stessa e a te
eccola... innocente insignificante
vestita delle parole che ne ricoprono
la strana sghemba superficie
a mosaico senza riferimenti
se non il linguaggio del contesto
bella da piangere e sparire
onda di pensiero nel mare dei pensieri di tutti


una poesia                                                                                      




-Due candele d'angolo -foto di G.D.-










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Laboratorio teatrale


Ieri pomeriggio al Teatro Belli un laboratorio teatrale impostato sull'unione perfetta di Pleroma e Creatura.
Presenti molti giovani attori e attrici, in fieri.  Irradiazioni molteplici, connessioni e legami. Colui che dirige, accende e cura il fuoco, con parole e gesti  perfetti. L'energia cinetica delle persone/molecole aumenta e diminuisce. Il pleroma guida la creatura e viceversa.La sacra unità fluisce, imperversa e nutre.

Nell'ottobrata romana calda e morbida, Trastevere nitida accoglie fiumi di gente coi tavolini sparsi di piccole luci rosse come una fiaccolata.Fronde di alberi scuri dipingono un cielo serale bluverde, fondale a brusii e risate e chiacchiericci. Profumo di pizza e di gelati, di supplì e di corpi tiepidi.Alla fermata dell'autobus due si salutano abbracciandosi stretti. Sorridono.

-Foto e ritocco- di G.D.

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